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Questa crisi non la paghino le imprese e i lavoratori

di Sergio Marchionne *

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17 Ottobre 2008
L'amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne

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Un intervento di tipo fiscale non è più rinviabile. Mi riferisco, ad esempio, a una detassazione dei salari e degli stipendi, a cominciare dalla fasce più basse di reddito.
Credo che il Governo italiano, nel contesto delle decisioni prese a livello europeo, abbia fatto una scelta equilibrata. Adesso, però, deve fare un altro passo avanti e iniziare a discutere, insieme a Confindustria, dei piani di sviluppo per il nostro Paese.
Per quanto riguarda le misure che si possono prendere a livello europeo, penso che un intervento sui tassi d'interesse potrebbe essere decisamente opportuno.
Anche il governo comunitario dovrebbe mostrare un'attenzione particolare per i problemi delle imprese. Purtroppo, a volte, sembra andare esattamente nella direzione opposta. Abbiamo avuto modo di vederlo, di recente, nel settore automobilistico. Le misure ipotizzate per la riduzione delle emissioni di CO2, se verranno confermate, richiederanno uno sforzo enorme ai costruttori di auto europei. Stiamo parlando di qualcosa come 45 miliardi di euro l'anno. Si trattava di un impegno insostenibile già di per sé. Un impegno che, come ha evidenziato anche Confindustria, penalizza soprattutto i produttori di auto piccole, che paradossalmente sono i più virtuosi in fatto di emissioni.
Se la proposta attuale verrà approvata, andrà a colpire in maniera pesante e ingiusta l'industria dell'auto italiana. Per rispondere a questo impegno, considerando anche la particolare situazione di calo della domanda, l'Associazione dei costruttori europei ha chiesto alla Ue di intervenire, così come è successo negli Stati Uniti.
Il Governo americano ha iniettato nel mercato dell'auto un pacchetto di 25 miliardi di dollari per aiutare il comparto. Credo risponda a un principio di equità il fatto che ai costruttori europei siano riconosciute le stesse opportunità. Tradotto in cifre, significa riconoscere un sostegno di circa 40 miliardi di euro all'industria dell'auto, perché possa investire in tecnologia e raggiungere gli obiettivi richiesti dai legislatori senza soccombere. Eppure l'Unione Europea si è dimostrata sorda a questa come ad altre legittime richieste.
L'industria automobilistica è uno dei settori che in Europa occupa il più alto numero di lavoratori: parliamo di oltre 12 milioni di persone. Quello che intendo dire è che il settore dell'auto, come molti altri settori industriali, non può essere lasciato solo in un momento in cui si trova a dover affrontare sfide così importanti.
Tra i tanti commenti che ho sentito in questo periodo, ce ne sono alcuni che riguardano direttamente la natura del sistema di mercato. In molti hanno letto, o hanno voluto leggere, nella crisi finanziaria e nelle sue conseguenze un fallimento del capitalismo. Ho sentito più voci invocare un pesante ritorno dello Stato nell'economia. Non potrà mai essere questa la soluzione.
Sono pienamente d'accordo con Emma Marcegaglia, quando dice che, conclusa l'emergenza, la presenza dello Stato nel mercato deve rientrare. La crisi finanziaria è tante cose insieme: crisi immobiliare, crisi di un modello di business, crisi di un sistema di regolazione. Ma non è la crisi del mercato in sé.
Quello che il mercato ha dimostrato, in questa come in altre occasioni, è che agisce alla sua maniera, brutalmente, facendo pagare il conto alle forme degenerate di capitalismo. Per questo non si tratta oggi d'invocare più Stato, ma più regole, più principi, più responsabilità dirette. Si tratta, alla fine, d'invocare più rispetto del mercato.
Questa crisi ha messo a dura prova quei valori che sono fondamentali per qualunque organizzazione: la trasparenza, l'onestà, l'affidabilità. Ha messo in luce la loro importanza e il bisogno di proteggerli. Sono questi valori a fare di un'azienda, di un sistema, di un Paese qualcosa di unico ed eccezionale.

*Amministratore delegato Fiat

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